Perugia, un anno fa
Immersa e travolta da un'onda. E' un ricordo che quasi confuso ritorna in mente. Una sbronza leggera, un lenzuolo profumato. E' quello che è stato per me il Festival Internazionale del Giornalismo. Sei giorni sospesi tra desideri verso cui tendere e una Perugia di emozioni, volti, sogni. Irrealizzabili, sì. Irrealizzabili e belli.
Per due anni tra i volontari - un
po' in disparte, perché è come sono fatta io - nessuno si ricorderà di me, ma
non importa perché io il Festival non lo dimentico. Prima spettatrice, felice
ed entusiasta mentre consegnavo la brochure a Marco Travaglio perché me la
firmasse. Era il 2010, o forse il 2009, e lui, quel giornalista come pochi, era
a un passo da me. E pochi minuti prima aveva raccontato l'Italia al teatro
Pavone.
E' tutto veloce al Festival del
Giornalismo. Senza rendermi conto era l'anno seguente, e poi l'anno dopo.
Sognare di scrivere, filmare, documentare la vita, gli affanni, le colpe della
gente, le bellezze e le storture del mondo. Un battito di ciglia e il Festival
cominciava daccapo. Ragazzi da ogni dove, "ma davvero sono tutti
qui?". Lo erano, lo sono tuttora perché domani il Festival riparte.
Stavolta senza di me.
Questa potrebbe dirsi l'edizione
della svolta, nata dal crowdfunding. Perché Arianna Ciccone è una che non
molla. La seguirò da lontano, ma è come se fossi lì. In fila per
partecipare, riflettere, sorridere e ridere - perché al Festival si ride,
eccome se si ride! - per emozionarmi. Ed imparare, perché non ho mai appreso
così tanto come dal Festival. Perché, per quanto la mia idea di giornalismo
s'infranga su mille ingiustizie, non smetterò di scrivere su questo blog, sui
miei taccuini, sui post-it. Non smetterò di voler raccontare gli altri e me, e per questo devo molto al Festival di Perugia.
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